T-shirt. “La maglietta a cui sei più affezionato deve essere come il tuo letto: devi sentirti a casa quando la indossi“, ci troviamo molto d’accordo con quanto detto da Ashton Kutcher, attore hollywoodiano e nominato, dalla rivista Forbes l’attore più pagato della TV con un guadagno di 24 milioni di dollari. La t-shirt, oggi capo unisex e passe-partout, in origine era un capo di biancheria maschile e si conferma capo senza età, complice la sua allure fresca e giovane.
Il business delle t-shirt esplose nei primi decenni del XX secolo. La P.H. Hanes Knitting Company iniziò a produrre biancheria da uomo nel 1901, mentre Fruit of the Loom cominciò a mettere in vendita T-shirt su larga scala a partire dal 1910. Negli Anni 30 le t-shirt erano ormai parte dell’abbigliamento standard degli atleti universitari. Nel 1938 il dettagliante americano Sears, Roebuck and Company cominciò a produrre la “gob” in cotone (“gob” è slang e sta per marinaio). “It’s an undershirt, it’s an outershirt“, diceva la pubblicità, si indossa sotto e si indossa “sopra”, come un capo normale, rassicurando la clientela maschile: si poteva “indossarla per lo sport e per rilassarsi, ma anche come capo di biancheria: è pratica e l’uso è corretto in entrambi i modi”.
A un certo punto gli attori emergenti di Hollywood iniziarono a sfoggiare t-shirt bianche per sottolineare l’indole ribelle dei loro personaggi: Montgomery Clift in “Un posto al sole”, Marlon Brando ne “Il selvaggio” e James Dean in “Gioventù bruciata”. La t-shirt era entrata ufficialmente nel guardaroba maschile come capo di abbigliamento a tutti gli effetti per il tempo libero. Ma ci sarebbero voluti più o meno altri 60 anni perché la t-shirt fosse accettata anche in ufficio.
Il sex appeal intrinseco della t-shirt, (è aderente e sottolinea le forme) venne apprezzato prima di tutto da cantanti e attrici negli anni 60, e divenne un capo realmente unisex negli anni 70. Nel 1977 Jacqueline Bisset scandalizzò le platee americane con la sua maglietta bianca, bagnata e trasparente, nel film Abissi.
Quando la t-shirt passò dall’underwear all’outerwear, divenne anche una sorta di spazio bianco per mandare un messaggio, che fosse politico, pubblicitario, esplicito o umoristico. I progressi tecnologici per quanto riguarda la serigrafia all’inizio degli anni 60 hanno reso veloce, facile ed economico stampare disegni sulle magliette. E negli anni 70 tutti potevano avere magliette personalizzate. Le aziende capirono presto il potenziale delle t-shirt come strumento di marketing, seguite da gruppi musicali e relativi management.
Ed infatti i Seventies si distinguono per l’ondata punk rock e di trasgressione. È il periodo dei gruppi musicali come i Ramones o i Sex Pistols e le loro canzoni assomigliano in tutto ai gridi di battaglia. Sono anche gli anni di Vivienne Westwood che ha iniziato a muovere i primi passi nella moda fondando il suo negozio a Londra. Passano i decenni, ma le t-shirt con i loghi delle maison continuano ad avere un grande successo.